Chiaramente, siamo solo un gruppo di
Homo sapiens che discutono su come classificare una specie vegetale. Su questa concezione fondamentale si possono snodare due differenti punti di vista: uno è quello semplicistico, che vede nell'approccio umano al problema della classificazione una mera psicosi di pretenzioso dominio cognitivo e di controllo sulle
cose del mondo. Un altro punto di vista può tener conto della posizione dell'uomo
nel mondo e delle sue possibili modalità di interazione con la natura. Infatti, l'uomo è l'unica specie al mondo (sebbene spinta da una tendenza di massa di tipo consumistico, opportunistico ed invasivo sull'ambiente) in grado di attribuire alla
bellezza delle cose un valore e un ruolo degni di azioni energeticamente dispendiose, cioè che, in termini biologici, potrebbero essere ritenute antiecnomiche. La coltivazione di piante ornamentali rientra proprio in questo rango di comportamenti di
Homo sapiens.
In natura, però, nulla è dettato da leggi antieconomiche o illogiche, quindi a mio avviso è la nostra intrinseca esigenza biologica della conservazione della natura a creare in una fetta della popolazione umana il desiderio di preservare la
bellezza, al fine di portarci a compiere sforzi per mantenere in vita il più vasto bagaglio genetico nelle specie che convivono con noi sul pianeta. Nel caso di noi orticolturisti, altro non facciamo coltivando le nostre piante che prodigarci in sostegno delle specie vegetali che reputiamo più
belle. L'esistenza degli orticolturisti è complementare a - ed agisce da forza di compensazione di - tutte quelle operazioni umane tese invece al sopravvento della nostra specie senza tener conto dei
costi del "progresso". Può sembrarci blasfemo o molto discutibile, ma ricordiamo che, nelle condizioni in cui abbiamo costretto le altre specie del nostro ecosistema, una delle poche vie di salvezza per la natura è diventata farsi
adottare dall'uomo, essendo la distruzione ad opera dell'uomo stesso l'unica alternativa prospettabile. Se l'uomo
singolo nota le sarracenie e inizia a coltivarle mentre l'uomo
massa le stermina per costruire autostrade, è evidente che stiamo cercando di preservare la bellezza, tristemente difendendola da noi stessi.
Purtroppo, il costo energetico della coltivazione è a carico ancora una volta delle altre specie.
Con questa premessa, voglio solo evidenziare un problema di fondo: classifichiamo le piante in una logica possessiva e dominante o per una ambizione conservativa e protezionistica? Nel primo caso, attribuire codici non sarebbe che una estensione della nostra brama di controllo delle
cose. Nell'altro caso, possiamo dare alla attribuzione dei codici ai cloni un senso diverso: ci serve a comprendere che due piante, sebbene a volte quasi identiche, possono essere entrambe indispensabili perchè portatrici di
bellezze diverse ed uniche, dove per bellezza si intende ricchezza genetica.
Mi sono già dilungato molto, quindi non entro nel merito dell'importanza che sarà assunta in futuro dalla conservazione di ceppi genetici diversi nel contesto della conservazione e del riarricchimento genetico di specie vegetali estinte in natura, magari per scopi di reintroduzione.
Possiamo ben scordarci di reintrodurre un clone di
Sarracenia flava var. rugelii in un sito da cui è stata raccolta decenni prima, dopo anni di estinzione. I cloni di
Sarracenia non sono eterni e non sono immortali. Se un giorno dovremo ripopolare i siti di
Sarracenia con l'intenzione di riportare questa specie nel su habitat quando NOI l'avremo fatta sparire del tutto, sarà necessario effettuare incroci intraspecifici (cioè fra diversi esemplari della stessa specie), o ancor meglio creare delle popolazoini miste, in cui molti cloni di una specie coesistano per realizzare una ripopolazione geneticamente ricca a lungo temine.
I semi prodotti da autoimpollinazione sono sempre più piccoli e meno numerosi di quelli prodotti con impollinazione incrociata intraspecificamente. Le plantule hanno una percentuale di mortalità altissima nei primi due-tre anni e una longevità generale comunque molto più breve.
I semi prodotti incrociando piante della tessa specie ma provenienti da ceppi genetici più dissimili fra loro, sono ulteriormente più grandi e numerosi e le plantule generate hanno una mortalità bassissima, longevità massima, robustezza e vigore non paragonabili a quelle ottenute incrociando piante dello stesso sito.
Un motivo in più per conservare, ove possibile, informazioni sulle locations di provenienza delle piante che coltiviamo.
[Modificato da (Maniac) 10/02/2012 00:17]
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